Musica
a Padova al tempo di
Alvise Cornaro
(1484-1566)
(1)
Antonio Stringari (XV/XVI secolo): Poi ch’io son in libertate
(2) Heinrich Isaac (1450 ca.-1517): La
Morra
(3) A. Stringari: Son più matti in questo mondo
(4) Pietro Paolo Borrono (XVI
secolo): Pavana Monta su che son de vella –
Saltarello della preditta
(5)
Trombetino (XV/XVI secolo): Poca pace e
molta guerra
(6) Anonimo (XV/XVI secolo): Fortuna d’un gran tempo
(7) A. Stringari: O selve sparse, egregie
(8) P.P. Borrono: Saltarello
chiamato Antonola
(9) Nicolò Pifaro (XV/XVI secolo): Per
amor fata solinga
(10)Adrian Willaert (1490 ca.-1562): Occhio non fu giamai che lachrimasse
(11) A. Willaert: Ricercar
(12) A. Willaert: Zoia zentil che
per secreta via
(13) Anonimo (XVI secolo): O vaghe montanine pastorelle
(14) A. Willaert: Quando di rose
d’oro
(15) Eustachio Romano (XV/XVI secolo): Pace non trovo, et non ho da far
guerra
(16) Nicolò Broco (XV/XVI secolo): O tiente a l’ora
Laura Fabris (voce)
CONSORT
VENETO
Gianpaolo Capuzzo (flauto dolce), Giovanni Toffano (flauto dolce),
Nei testi di Ruzante, inoltre, battute
e didascalie suggeriscono spesso riferimenti musicali, sia per la presenza di
scene con canti e danze, sia per la discreta quantità di incipit di
brani citati, tra i quali non è facile distinguere le composizioni originali da
quelle di tradizione popolare. Nell’Anconitana, ad esempio, abbiamo un
ampio contenzioso vocale di Ruzante con il padrone Sier Thomao, che oppone alle
sue canzoni campagnole le canzoni cittadine di un tempo; nella Vaccària
il cantore Piolo intona testi ben precisi, segnalati sia con l’incipit,
sia con l’intera prima strofa.
Tale tradizione musicale viene in parte raccolta da Adrian Willaert (1490
ca.-1562) nelle Canzone villanesche alla napolitana, stampate a Venezia
nel 1545, che dà una veste musicale a quattro voci a tre Canzoni ruzantiane,
rispettivamente Zoia zentil, Occhio non fu giamai e Quando di
rose d’oro.
Prima ancora di Willaert, è probabile che tra le mura dell’Odeo risuonassero
le musiche di alcuni autori schiettamente padovani, rappresentanti dell’ultima
generazione di frottolisti, quella che trova in gran parte posto
nell’undicesimo Libro di Frottole di Ottaviano Petrucci, stampato nel 1514.
Tra questi Antonio Stringari può essere considerato un vero e proprio
caposcuola a cui si collega Giovanni Lulino. Ambedue, anche per l’impiego che
fanno nelle loro musiche dei testi di Francesco Petrarca, erano probabilmente
legati alla cerchia universitaria e in particolare a Pietro Bembo,
frequentatore, come si è visto, di casa Cornaro. L’ambiente erudito dello
Studio patavino aveva influenzato le loro opere, soprattutto laddove si svela il
tentativo di rinnovare la forma della frottola, recuperando la migliore poesia
per musica e riprendendo addirittura la tradizione trecentesca mediante cadenze
arcaiche tipiche di Francesco Landini.
La Loggia e l’Odeo Cornaro sono
quanto rimane di un più ampio complesso di edifici e giardini, tra le massime
testimonianze del Rinascimento padovano ed espressione degli interessi culturali
del suo ideatore, Alvise Cornaro.
Studioso di idraulica e imprenditore agricolo, Cornaro fu teorico
dell’architettura, promotore delle arti figurative e mecenate degli artisti
chiamati a lavorare nella sua “corte”, ritrovo privilegiato dei più
illustri protagonisti della vita intellettuale e artistica cittadina della prima
metà del Cinquecento.
La Loggia, datata 1524, venne costruita su progetto dell’architetto veronese
Giovanni Maria Falconetto, legato a Cornaro da amicizia e dal comune interesse
per l’antichità classica.
Venne ideata per ospitare rappresentazioni teatrali, sulla scia del crescente
interesse umanistico per il teatro antico. Costituisce la prima realizzazione in
Veneto della frons scenae di epoca romana, ovvero la scena a portico su
base rialzata, scandita da arcate e pilastri compositi, ornata con fregi e
chiusa da un fondale. Sul suo sfondo, il Ruzante recitava le sue commedie alla
presenza del mecenate Alvise. Tra i due in effetti vi fu sempre un legame di
fraterna collaborazione che si concretizzò nella realizzazione di momenti
teatrali e musicali a casa Cornaro.
Risale invece verosimilmente al 1530 la costruzione dell’Odeo, luogo ideale
per la musica e per le conversazioni erudite. La pianta dell’Odeo, che è
costituita da uno spazio centrale ottagonale circondato da vani laterali
disposti simmetricamente, si ispira alla cosiddetta villa di Marco Terenzio
Varrone, secondo la codificazione che ne era stata data da Antonio da Sangallo.
La volta a ombrello, nel vano centrale dell’Odeo, mostra splendide decorazioni
a “grottesche” su fondo chiaro, primo esempio a Padova di questo motivo
diffusosi a Roma e a Mantova nella prima metà del Cinquecento a seguito della
scoperta della Domus aurea di Nerone.
Tali affreschi, già attribuiti a Gualtiero Padovano, sono ispirati alle
incisioni di Domenico Veneziano e alle decorazioni a grottesche di Polidoro da
Caravaggio nelle stanze vaticane. Propongono il motivo a “candelabro”
animato da putti, satiri, vasi e figure incappucciate di indovini, una
simbologia probabilmente legata alla pratica alchimistica o ai riti del mondo
contadino.
A queste decorazioni, che ora si ritengono estranee alla cultura figurativa
padovana, si affiancano fregi che riproducono elementi tratti dalla vita
agreste, con esempi di flora e fauna locale.
La forma particolare della sala e la struttura ottagonale della volta sembrano
essere stati ideati apposta per amplificare e fondere tra loro le voci e gli
strumenti che partecipavano alle riunioni musicali di Alvise Cornaro,
organizzate per una ristretta cerchia di amici, viste le ridotte dimensioni del
luogo.